Dopo
anni di attesa, finalmente anche il popolo italiano ha potuto
assaporare dal vivo la furia sovversiva dei Rage Against
The Machine, Il 18 febbraio, a Milano, ceravamo anche
noi.
Ad aprire il concerto, come annunciato, Gli Asian Dub Foundation,
gruppo britannico, o meglio, fondazione Britannica (mi riferisco
al fatto che siano quasi uno per ogni nazionalità asiatica)
dalle caratteristiche musicali abbastanza in disaccordo
con i R.A.T.M. Questi si sono esibiti per unora piena
sfoggiando i loro cavalli di battaglia, una moltitudine
di battiti e grooves passando da reggae a fusion
soffermandosi sul jungle, insomma, dei maestri di versatilità.
Non si é capito bene quale fosse il ruolo dei membri della
fondazione che ogni tanto venivano chiamati dal cantante
a rappresentare il loro stato ( India- un uomo,
un perché) si mettevano a ballare come forsennati,
neanche molto bene tra laltro. Il Filaforum si scuote
nel riverbero dei bassi lanciati dagli Asiatici per oltre
unora aspettando gli eroi guerriglieri, che pero
tardano ad arrivare. Dopo unintervallo di oltre mezzora,
eccoli, I Rage Against the Machine, sul palco davanti a
noi, si presentano (come se quelle migliaia di persone si
trovassero davanti a quel palco per coincidenza), ho notato
che questo é ormai un fenomeno di costume musicale, La folla
furoreggia. Con un riff di Morello, Zack inizia ad urlare
tutta la propria rabbia contro il sistema. Cé da dire
che la coreografia (dove dietro al gruppo appare il logo
del nuovo album, con su scritto The battle of Milan)
coglie gli spettatori impreparati, nello sforzo del gruppo,
di coinvolgere il più gran numero di malcapitati nelle loro
cause sociali.
Aprono con alcuni brani del nuovo album, tra cui Testify
e il singolo Guerrilla Radio, attorno a me si
crea una piccola apocalisse. Corpi schiacciati, o messi
in posizioni inimmaginabili alla mente umana, Ragazzi galleggianti
su un mare di altri ragazzi, a loro volta galvanizzati da
quantità industriali di sostanze stupefacenti di vario genere,
tutte naturali.
Lesibizione vocale di Zack de la Rocha é da considerarsi
di lusso. Lincazzato frontman grida tutta la sua rabbia
pur mantenendo una dignitosa qualità sonora: non ne stecca
neanche una sulle grida di Guerrilla radio e
take the Power Back.
Complessivamente, il gruppo ha suonato in maniera sublime,
con una capacità di aizzare la folla incomparabile. Unica
nota di critica: Tom Morello avrebbe potuto sfruttare un
po di più le sue capacità di chitarrista di quanto non abbia
fatto, e il gruppo sembra avere qualche problema con i cambi
di tempo. Sono comunque critiche che non mi sento di fare
io stesso, in quanto il concerto sia stato un vero e proprio
portento. Dalle novità, ai classici (Bombtrack,
Bulls on parade e via dicendo), il concerto
é terminato con Killing in the name of brano
che riassume un po linsieme delle convinzioni
politiche del gruppo.
Che il gruppo Los Angelino sia ormai la retorica della resistenza
allimperialismo ed alle ingiustizie politiche si sa,
basti paragonare i testi dei brani del 91 a quelli di oggi
per notare che la differenza non é molta. Bisogna però ammettere
che mantengono sempre una verve ed una rabbia focalizzata
in modo allucinante, e a mio avviso, finché é per una buona
causa (e le loro lo sono), e manda in delirio il pubblico,
che continuino a suonare, per gli ignoranti, ROCK ON!